L’irrilevanza della prova testimoniale è eccezione rilevabile d’ufficio

L’irrilevanza della prova testimoniale è eccezione rilevabile d’ufficio
30 Aprile 2018: L’irrilevanza della prova testimoniale è eccezione rilevabile d’ufficio 30 Aprile 2018

Con la sentenza n. 1294/2018 la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sull’inammissibilità della prova testimoniale, affermando che questa, in alcuni casi, è rilevabile anche d’ufficio.

Nel caso deciso, la parte interessata aveva richiesto la prova testimoniale, deducendo circostanze generiche (in quanto prive di riferimenti a fatti di causa), nonché implicanti valutazioni, tanto da impedire alla controparte processuale la formulazione di prova contraria.

Sia il Giudice di primo grado che quello di secondo avevano rigettato d’ufficio l’istanza formulata in tal modo.

La parte che aveva richiesto la prova testimoniale rigettata, soccombente nei gradi di merito, aveva proposto ricorso in Cassazione, deducendo che il vizio di genericità e valutatività dei capitoli di prova testimoniale avrebbe dovuto essere eccepito dalla parte interessata nella prima difesa successiva alla loro deduzione, pena l’acquiescenza.

Pertanto, il Giudice di Appello non avrebbe potuto rilevare d’ufficio la genericità ovvero il carattere valutativo delle circostanze dedotte, trattandosi di eccezione sollevabile solo dalla parte.

I Giudici di Piazza Cavour, però, non hanno condiviso queste argomentazioni.

Infatti, la specifica indicazione dei fatti, così come richiesta dall’art. 244 c.p.c., non attiene al piano della validità della prova, ma a quello preliminare della rilevanza, di competenza del giudice, che è chiamato a stabilire se, in relazione al particolare thema probandum della lite, i fatti ad oggetto della prova siano rilevanti ai fini della decisione.

Solo quando il giudice non abbia rilevato il predetto difetto di specificità, ed abbia quindi ammesso la prova, il comportamento della controparte diventa decisivo (nel dedurre la prova contraria oppure nell’eccepire la violazione delle regole di validità (quale quella della capacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ.), e cioè la nullità della prova invalidamente ammessa.

In altre parole, “mentre la violazione di una regola di validità quale quella dell'art. 246, posta a tutela dell'interesse delle parti, ha carattere relativo ed è rilevabile solo su eccezione di parte (fra le tante Cass. 30 ottobre 2009, n. 23054), l'apprezzamento in ordine alla specifica indicazione dei fatti da provare si colloca su un piano preliminare, in quanto relativo alla rilevanza della prova, e dunque l'eventuale mancanza della specifica indicazione resta rilevabile d'ufficio. Ciò nell'ambito di quel più generale potere in tema di prova per il quale spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova (fra le tante Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; 15 luglio 2009, n. 16499)”.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “la mancanza di indicazione specifica dei fatti nella deduzione della testimonianza, in quanto requisito di rilevanza della prova, è rilevabile d’ufficio dal giudice e rende inammissibile la testimonianza medesima”.

 

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